La storia di D.

 

di Strasse Baum (pseudonimo di una cara amica)

 

D. non parla, non cammina, non ride, non scrive, non gioca.
D. è un ragazzo con disabilità pari al 100%.
D. ama, gioisce, sogna, vive.
In famiglia tutti lo adorano, i volontari, gli operatori, gli amici, i parenti.
D. è un ragazzo fortunato.

Non è semplice raccontare parte della sua vita, perchè è ricca di contraddizioni.
Non è semplice spiegare come l'amore enorme di due genitori, la voglia di vederlo star bene, possa trasformarsi in cecità e tortura.

D. vive costantemente legato. Al letto, alla sua sedia, alla vasca da bagno...
Ogni momento della sua vita è regolato da una qualche costrizione.

Aveva sei mesi la prima volta, i medici dicevano alla sua mamma che si ribellava nel vederlo legato come un salame: ' Signora è necessario, se non lo leghiamo la sua disabilità lo porterà a farsi del male'. E così un frugoletto di pochi mesi veniva legato mani e piedi alla culla, senza la possibilità di poter compiere alcun gesto. E piangeva, non dormiva mai, piangeva soltanto. I medici mai hanno considerato che lo facesse per via della costrizione che subiva. No, era irrequieto, era tutto frutto della sua malattia, andava legato e sedato. D. ha incominciato a dormire. Dormiva ma non mangiava.

Verso i sei anni sono cominciati i primi tremiti, il bruxismo continuo durante tutto l'arco della giornata, le convulsioni, le infezioni alle vie urinarie. Naturalmente tutti sintomi della malattia.

D. aveva 30 anni quando l'ho conosciuto e viveva ancora costretto e abbondantemente sedato. Genitori convinti della bontà delle loro azioni, con il loro troppo amore, con la troppa voglia di voler vedere un figlio tranquillo. Amici, parenti e volontari intimiditi da questo ragazzone muto, con gli occhi rivolti sempre al cielo.

Non è mai semplice entrare nei rapporti che si creano tra genitori e figli disabili. E' un rapporto costruito su un filo di lana. Tanti atteggiamenti risultano incomprensibili. Capire come l'amore immenso per un figlio possa passare attraverso rabbia, malumori, improvvisi slanci d'affetto non è semplice. Forse addirittura impossibile. Come si può pensare che un ragazzo tanto amato, possa ritrovarsi costantemente legato e sedato? Come è possibile che questa situazione venga accettata da genitori, parenti, amici, volontari e operatori?
Col passare del tempo si cominciano a fare domande, a chiedere perchè. Le prime risposte sono: tutti ci abbiamo provato, nessuno di noi è riuscito a convincere medici e genitori. Con un pò di coraggio le domande sono state ripetute ai geniori stessi, persone per bene, pronte ad accogliere chiunque con un sorriso. La reazione è stata esagerata, esasperante, avvilente, rabbiosa, incomprensibile.

Quando ho conosciuto D. sono rimasta impressionata da come spesso molte cose possano essere considerte scontate e non lo sono. Avevo sempre pensato che visistare un ragazzo con queste problematiche richiedesse sensibilità e abnegazione per il mestiere che si compie. E invece ci si trova di fronte a disprezzo, menefreghismo, sufficienza, paura. Tanta paura. Neanche uno sguardo, tante urla, tanta voglia di sbrigarsi perchè il 'mostro' vada via al più presto. Sì, il mostro, perchè è questo il modo in cui è stato spesso appellato. E allora arriva subito la richiesta di assitenza, arrivano cinque o sei infermieri infilano i guanti (neanche fosse un appestato, in fondo devono soltanto tenerlo!!!), lo prendono dalla sedia dove è legato e lo sbattono letteralmente su un lettino. Uno che gli regge la testa, un altro che gli tiene le mani al collo, un altro che gli serra le caviglie già legate, e gli altri due che gli tengono le braccia talmente strette da fargli venire degli spasmi. Tutta colpa della sua malattia dice il medico. Solo a questo punto il dottore si avvicina per effettuare il prelievo del sangue (vi lascio immaginare cosa succede quando D. deve fare visite di altro tipo). E di nuovo viene preso, risbattutto sulla sua sedia e legato.

Ogni estate, D. veniva affidato ad un gruppo di volontari per le vacanze. Le raccomandazioni erano sempre le solite: non scordate le medicine, ricordatevi di farlo sedere e sdraiare comodo (che nel linguaggio dei genitori di D. voleva dire ricordatevi di legarlo ben saldo), i pannoloni sono nell'armadio, i bavagli per il collare (che gli tiene il collo ben legato alla sua sedia) sono sullo stendino, non portatelo troppo in giro ecc...

Lo stesso pomeriggio della partenza dei genitori, le discussioni erano animate: si dovevano stabilire i turni ma soprattutto si doveva scegliere come attuare il 'piano', decidere come agire. Se ne parlava da tempo ma, arrivato il momento qualcuno ha cominciato a tirarsi indietro. I dubbi erano tanti. Era giusto che dei semplici volontari decidessero di sospendere i sedativi senza alcun parere medico, smettessero di tenerlo legato, cambiassero dal giorno alla notte le sue abitudini? La decisione era presa, era troppo tardi per tirarsi indietro.

Ricordo benissimo il giorno in cui i genitori di D. sono tornati dalle vacanze. Il rientro era stato anticipato di un giorno senza avvertire i volontari. Il rumore della chiave girata nella toppa è stato un tuffo al cuore per tutti. Il sorriso allegro della mamma di D. si è trasformato all'istante in una maschera di rabbia e paura, il papà è rimasto sulla soglia con la bocca spalancata.
D. era sdraiato sul divano accanto ad uno dei suoi amici volontari, teneva con una mano la testa del ragazzo appoggiata al suo petto e con l'altra gli accarezzava i capelli col suo modo un pò goffo. Nessuno scorderà mai i passi lenti e pesanti della signora mentre si avvicinava al figlio, nessuno scorderà mai le sue ginocchia cedere, nessuno scorderà mai le lacrime rigare il suo volto.

Oggi D. ha 35 anni.
Non vive più costantemente legato. Nessuno gli propina sedativi in dosi da cavallo.
Ha una dottoressa dallo sguardo dolce che gli regala una caramella ogni volta che va a trovarla. E' sempre circondato da 'amici volontari' e trascorre felicemente le sue giornate in compagnia di altri ragazzi che hanno avuto la fortuna di incontrare la sua mamma che ha creato per 'loro' una Casa Famiglia.

D. non parla, non cammina, non ride, non scrive, non gioca.
D. è un ragazzo con disabilità pari al 100%.
D. ama, gioisce, sogna, vive.
D. ha ancora i tremiti, il bruxismo continuo durante tutto l'arco della giornata, le convulsioni, le infezioni alle vie urinarie.
D. regala caldi abbracci a chiunque concede un minuto del proprio tempo per fargli una carezza.
D. accosta il suo viso alla bocca di chiunque in cerca di un bacio.
D. è un ragazzo felice ora. Ma soprattutto ha trovato un hobby: ballare il walzer in braccio alla sua mamma.